30 set 2009

Il rap di Enea



L'Eneide è un poema epico della cultura latina scritto dal poeta e filosofo Virgilio nel I secolo a.C. (più precisamente tra il 29 a.C. e il 19 a.C.), che narra la leggendaria storia di Enea, principe troiano figlio di Anchise, fuggito dopo la caduta della città, che viaggiò fino all'Italia diventando il progenitore del popolo romano. Enea racconta la sua storia e le sue vicende e i fatti che hanno provocato il fortuito arrivo della sua gente da quelle parti. Comincia la sua narrazione da poco dopo gli eventi descritti dall'Iliade di Omero. L'astuto Ulisse aveva trovato il modo di riuscire ad entrare a Troia: aveva fatto costruire un enorme cavallo di legno, che avrebbe racchiuso nascosti al suo interno lui e alcuni dei migliori guerrieri greci. Usciti nottetempo dal cavallo, i guerrieri greci avevano cominciato a mettere Troia a ferro e fuoco. Enea, svegliato all'improvviso dal fantasma di Ettore aveva visto con orrore che cosa stesse succedendo alla sua amata città natale. Radunati alcuni guerrieri, organizzò la fuga dalla città: Il capo troiano assistette anche alla barbara uccisione del re Priamo. Allontanatisi dai luoghi più pericolosi, Enea si imbatté nella bella Elena, causa prima -secondo il mito- di tutta quella rovina e fu preso dal desiderio di ucciderla, ma venne fermato dalla madre Venere, che gli aveva detto invece di fuggire e di uscire dalla città insieme alla sua famiglia. Enea racconta quindi la sua fuga con il figlio Julo e portando sulle sue spalle il vecchio padre Anchise, mentre sua moglie Creusa non era riuscita a rimanere con loro ed era perita nella catastrofe generale.

Mentre il viaggio di Ulisse era un viaggio di ritorno, quello di Enea un viaggio di rifondazione proiettato verso l'ignoto; la guerra nell'Iliade era una guerra di distruzione, quella di Enea è rivolta alla costruzione di una nuova città e di una nuova civiltà; (..) Enea, ancora una volta dimentico dei Fati, cade nell'incerto se stabilirsi in Sicilia o cercare il Lazio. Enea e i suoi seguaci sbarcano a Cuma, in Campania, dove Enea si reca nel tempio di Apollo, oracolo celeberrimo nell'Italia di quel tempo. La somma sacerdotessa di Apollo, la Sibilla Deifobe di Glauco, invasata dal dio durante il vaticinio, gli rivela che riuscirà ad arrivare nel Lazio, ma la nuova patria potrà essere conquistata solo a prezzo di lotte e guerre (..) Giunti alla diramazione tra la via per il Tartaro e quella per i Campi Elisi, incontrano lo spettro del poeta Museo che porta Enea dal padre Anchise: Enea è turbato dal non poterlo riabbracciare per la sua incorporeità, ma il padre lo conforta. Anchise mostra al figlio i grandi uomini che nasceranno dalla città che Enea stesso con la propria discendenza contribuirà a fondare, ovvero i grandi personaggi di Roma che otterranno gloria nelle belle arti, nella scienza o nel foro, ma i Romani governeranno i popoli con la sapienza delle leggi, perdonando ai vinti e annientando i superbi sediziosi: Tu regere imperio populos, Romane, memento / pacique imponere morem / parcere subiectis et debellare superbos (Aen. VI, 851-53)

La città, costruita nell'800 A.c., dal nipote di Enea, tale Romolo, che la eresse dopo aver ucciso il fratello suo Remo, sorgerà sul Palatino, dopo la morte del nonno che fu proprio Enea e che continuerà a vivere per sempre sotto le sembianze di un immortale, di un essere divinizzato dagli Dei. La città di Roma vivrà fino alla morte, nel 476 D.c., dell'ultimo imperatore romano Romolo Augustolo, che segnerà la definitiva sconfitta della città e la sua distruzione ad opera dei Barbari.

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